Olimpiadi degli Scacchi 2012

f6b17-istanbul2012Si è da poco conclusa a Istanbul (Turchia) la 40a Olimpiade degli Scacchi, l’evento più importante dopo il Campionato del Mondo. Organizzata dalla FIDE, la Fédération Internationale des Échecs, si è svolta dal 27 agosto al 10 settembre 2012 e vi hanno partecipato circa 1400 giocatori, suddivisi in 157 squadre nel torneo open e 127 nel torneo femminile. La formula utilizzata è stata quella del sistema svizzero, articolato in 11 turni di gioco sulle quattro scacchiere, con tempo di riflessione di 90’ per le prime 40 mosse, 30’ per le successive e 30’’ di incremento a mossa.
Vincitrice del torneo open la squadra dell’Armenia, al terzo oro nelle ultime quattro edizioni, composta da Levon Aronian (testa di serie numero 2 del ranking mondiale e oro nella prima scacchiera), Sergei Movsesian, Vladimir Akopian, Gabriel Sargissian e Tigran L. Petrosian, segue al secondo posto la squadra Russa di Vladimir Kramnik (3° nel ranking mondiale), Alexander Grischuk, Sergey Karjakin, Evgeny Tomashevsky e Dmitry Jakovenko, mentre i campioni uscenti dell’Ucraina di Vassily Ivanchuk (9° nel ranking mondiale), Ruslan Ponomariov, Andrei Volotikin, Pavel Eljanov e Alexander Moiseenko riescono a impadronirsi della terza posizione proprio all’ultimo turno di gioco, andando a vincere contro la Cina, arrivata poi quarta. Nella top ten ritroviamo gli Stati Uniti (5° posto), l’Olanda (6°), il Vietnam (7°), la Romania (8°), l’Ungheria (9°) e l’Azerbaigian (10°).
La squadra italiana, composta da Fabiano Caruana (attuale numero 8 del ranking mondiale), Michele Godena, Sabino Brunello, Daniele Vocaturo, e Daniyyl Dvirnyy, capitano non giocatore Giulio Borgo e allenatore Arthur Kogan, partiva dal 22° posto conseguito nell’Olimpiade del 2010 ma complice l’ottima prestazione ha conquistato un meritato 15° posto, affrontando nell’ordine: Guatemala (84°), Cina (4°), Nicaragua (120°), Cile (56°), Kirghizistan (65°), Inghilterra (17°), Macedonia (38°), Mongolia (46°), Ungheria (9°), Norvegia (45) e Grecia (40°). L’Italia ha conseguito 7 vittorie, un pareggio con l’Inghilterra di Adams e Short e 3 sconfitte, perdendo contro le forti Cina e Ungheria ma prendendo uno scivolone con la Macedonia, squadra ampiamente alla portata degli azzurri.
Nel torneo femminile secondo oro consecutivo della Russia, squadra composta da Tatiana Kosintseva, Valentina Gunina, Nadezhda Kosintseva, Alexandra Kosteniuk e Natalija Pogonina, medaglia d’argento per la Cina di Yifan Hou, Xue Zhao, Wenjun Ju, Qian Huang e Yixin Ding, mentre la medaglia di bronzo va all’Ucraina di Kateryna Lahno, Mariya Muzychuk, Natalia Zhukova, Anna Ushenina e Inna Yanovska. Nella top ten troviamo l’India (4° posto), la Romania (5°), l’Armenia (6°), la Francia (7°), la Georgia (8°), l’Iran (9°) e gli Stati Uniti (10°).
La squadra femminile italiana, formata da Elena Sedina, Olga Zimina, Marina Brunello, Mariagrazia De Rosa e Tiziana Barbiso, capitano non giocatore Lexy Ortega e allenatore Fabio Bruno, conferma quanto ottenuto nella scorsa edizione dei giochi, raccogliendo il 33° posto (si partiva dal 31°), affrontando nell’ordine: Botswana (113°), Olanda (20°), Venezuela (34°), Costa Rica (74°), Galles (82°), Danimarca (63°), Armenia (6°), Sri Lanka (75°), Indonesia (24°), Uzbekistan (21°) e Mongolia (13°). Le azzurre totalizzano 6 vittorie, un pareggio con l’Uzbekistan e 4 sconfitte, rispettivamente con l’Olanda, la Costa Rica, l’Armenia e la Mongolia, pagando proprio nel finale l’infelice accoppiamento con quest’ultima e l’incredibile sconfitta con la Costa Rica.
Nel complesso i risultati ottenuti lasciano ben sperare per il futuro del movimento italiano, protagonista di una rinnovata primavera scacchistica.
Appuntamento al 2014 a Tromsø (Norvegia), per la prossima edizione delle Olimpiadi.

– da AetnaNet del 15 Settembre 2012
– da Sotto Le 2 Torri – Il Foglio di Bologna n° 36 – Settembre 2012 – Pagina 25

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Non Chiamateli Giochi: Scacchi Antichi e Orientali

92d63-chaturangaNon tutti sanno che gli scacchi moderni portano nel loro DNA numerose tracce delle cosiddette “varianti antiche”, come lo Chaturanga e lo Shatranj, tutt’oggi praticate.
Lo Chaturanga si è diffuso in India a partire dal VI secolo d.C. e si ritiene essere il primo antesignano degli scacchi; alcuni studiosi lo reputano a sua volta derivare da arcaici giochi cinesi, tuttavia quest’ultimi sembrerebbero presentare solo alcuni tratti in comune con esso, confermando così la precedente tesi. Il nome deriva da chatur e anga, rispettivamente ‘quattro’ e ‘membro’, rifacendosi all’antica struttura dell’esercito indiano, composto da quattro elementi, quali la fanteria, la cavalleria, gli elefanti e i carri da guerra. Si gioca in quattro, due contro due, ponendo agli angoli del tavoliere ciascuno dei quattro eserciti di otto pezzi ciascuno. I colori delle armate (verde, rosso, giallo, nero) sono tipicamente indiani, rintracciabili anch’essi nel celebre gioco del Pachisi. I pezzi a disposizione sono un Rajah (il ‘re’), un Elefante, un Cavaliere, una Nave e quattro Fanti, con movimenti che ricalcano da vicino quelli odierni. La particolarità del gioco sta nel porre una certa posta iniziale nel piatto dei vincitori e nell’uso di un dado con numeri da 2 a 5, strumento atto a determinare la tipologia di mossa al proprio turno: se il giocatore ottiene 2 muoverà la sua nave, se ottiene 3 il cavaliere, se ottiene 4 l’elefante, se ottiene 5 un fante o il rajah. Se è possibile, la mossa è sempre obbligatoria altrimenti si salta il turno. A seconda delle posizioni o combinazioni che i pezzi assumono nel corso della partita, del controllo di determinate case o catture di pezzi avversari è possibile raddoppiare o quadruplicare la posta o scambiare dei prigionieri. Lo chaturanga combinava quindi fortuna e abilità, divenendo uno dei primissimi giochi d’azzardo dell’umanità, concetto che ancora oggi viene espresso con l’etimo arabo di az-zah (‘dado’).
Dall’India il gioco passò alla Persia col nome di Chatrang. Gli Arabi, dopo alla conquista di quest’ultima, lo diffusero col nome di Shatranj, dal persiano shah (‘re’), stilizzando i pezzi nelle forme ed eliminando ogni elemento aleatorio. Lo Shatranj è ufficialmente considerato il diretto antenato degli scacchi, le cui regole di gioco sono sostanzialmente simili. Nel passaggio in Europa intorno all’anno Mille, ad opera dei Mori in Spagna e dei Crociati di ritorno dalla Terra Santa, i pezzi assunsero le correnti fattezze tipicamente medievali, ascrivibili alle corti del tempo. Lo shatranj si gioca in due su una scacchiera 8×8. Al consueto Shah, che muove come il re negli scacchi, si aggiunge il Visir o Primo Ministro (in seguito la “Regina”), due Fil, gli Elefanti poi diventati “Alfieri”, due Cavalli, due Ruhk (cammelli da guerra arabo-persiani) poi diventati “Torri” e otto Pedoni. Scopo del gioco è lo scacco matto o intrappolamento del re avversario, dall’arabo shah-mat (‘re-morto’).
Parallelamente alla diffusione dello shatranj in Medioriente e degli scacchi in Europa si assiste in Estremo Oriente allo sviluppo delle varianti dello XiangQi in Cina e dello Shogi in Giappone, derivati a loro volta dal chaturanga indiano.
Parecchio praticato in Cina, lo XiangQi o “Gioco degli scacchi cinese” fu il risultato dell’esportazione del chaturanga in Cina ad opera di mercanti, combattenti e buddisti. Alcuni ricercatori lo fanno risalire al IV secolo a.C. Secondo lo studioso cinese David H. Li sarebbe invece stato ideato nel 205 a.C. dal generale Han Xin, discepolo del famoso generale Sun Tsu. Si gioca in due su una scacchiera composta da dieci traverse orizzontali e nove colonne verticali. A differenza degli scacchi i pezzi vengono posizionati sulle intersezioni o punti, così come nel Go/WeiQi. Il campo di gioco è diviso orizzontalmente in due parti da un fiume, al centro delle prime tre file ritroviamo un quadrato composto da nove punti che rappresenta il castello. I pezzi sono tutti di forma circolare sui quali sono marcati dei kanji, i tipici ideogrammi cinesi. Ciascun giocatore ha a disposizione un Imperatore (oggi “Generale”) e due Mandarini (oggi “Consiglieri”) che muovono esclusivamente all’interno del castello, due Torri (dette anche “Carri”), due Cannoni (detti anche “Bombarde”), due Cavalli, due Elefanti e cinque Soldati (o “Pedoni”). Si ha la vittoria quando un giocatore riesce ad attaccare il re avversario ed egli non ha mosse che lo tolgano da tale situazione, o quando le uniche mosse del giocatore di turno esporrebbero il re ad un attacco avversario. È possibile applicare alcune speciali regole con handicap tra giocatori di forza differente, prevedendo un diverso numero di pezzi, di mosse o di movimento e cattura, a favore o meno di uno specifico giocatore.
Lo Shogi, letteralmente ‘Gioco dei Generali’, trae origine dallo xiangqi. Fu introdotto in Giappone da messi imperiali verso l’ottavo secolo d.C., per poi evolversi progressivamente, sino alla sua forma attuale, a partire dall’anno Mille. Lo shogi si gioca in due su una scacchiera (shogiban) cromaticamente uniforme di nove caselle per lato, con due linee di promozione che separano la terza traversa dalla quarta e la sesta dalla settima. I due giocatori, Bianco e Nero (Gote e Sente) dispongono di venti pezzi sagomati a forma di freccia, tutti di identico colore, sul cui fronte è riportato un ideogramma giapponese e la punta rivolta in direzione dell’avversario, così da determinare chi ha il controllo del pezzo durante il gioco. L’equipaggiamento di ciascun giocatore è composto da un Re (unici pezzi differenziati per colore, Osho o “Signor Generale” per il re bianco, considerato il regnante, e Gyoku o “Generale di Giada” per il re nero, considerato lo sfidante), due Generali d’Oro (Kin), due Generali d’Argento (Gin), due Cavalli (Kei), due Lancieri (Kyo), una Torre (Hi), un Alfiere (Kaku) e nove Pedoni (Fu). Come negli scacchi l’obiettivo rimane quello dello scacco matto, ciò nonostante i due giochi presentano alcune differenze. Come nello xiangqi è possibile effettuare delle partite con handicap, giocando con un numero inferiore di pezzi. Quando taluni pezzi giungono oltre la linea di promozione acquistano specifiche abilità aggiuntive, oppure si trasformano in determinati pezzi superiori. I pezzi catturati, inoltre, non vengono eliminati dal gioco ma rimessi in campo nelle fila avversarie, con facoltà di “paracadutarli” in una casella vuota, a scelta del giocatore; quest’ultima regola si rifà idealmente alle frequenti guerre feudali nipponiche, dove le sorti della guerra erano decise dalle mutevoli alleanze, con il passaggio dei vari contendenti da un fronte all’altro.
Gli scacchi sembrano seguire una linea evolutiva che non conosce battute d’arresto e che in futuro potrebbe riservarci ulteriori e gradite sorprese.

– da AetnaNet del 29 Agosto 2012
– da Sotto Le 2 Torri – Il Foglio di Bologna n° 35 – Agosto 2012 – Pagine 27-28

World Mind Sports Games 2012

b5984-wmsg2012Dal 9 al 23 agosto si è disputata a Lille (Francia) la seconda edizione dei “World Mind Sports Games”, le cosiddette “Olimpiadi della Mente”, durante i quali si sono sfidati i maggiori esperti di queste discipline. L’evento è stato organizzato dall’International Mind Sports Association (IMSA), la “Federazione Internazionale Sport della Mente”, ricevendo il prestigioso patrocinio dell’UNESCO. L’IMSA riunisce le quattro Federazioni Internazionali della Dama (FMJD), degli Scacchi (FIDE), del Bridge (WBF) e del Go (IGF), articolate in 400 federazioni nazionali con circa 500 milioni di giocatori sparsi in tutto il mondo. La prima edizione, svoltasi a Pechino nel 2008, ha visto la partecipazione di ben 2763 atleti provenienti da 143 diverse nazioni.
Numerosi gli italiani in gara, molti dei quali si sono ben comportati, ciascuno in rappresentanza della propria federazione nazionale.

  • Dama: Strepitosa affermazione della squadra italiana coordinata dal direttore tecnico della FID (Federazione Italiana Dama) Daniele Bertè che conquista nella specialità della Dama Inglese (Checkers) un oro con Michele Borghetti e un argento con Sergio Scarpetta nel girone maschile (bronzo al turkmeno Durdyev) e un bronzo con Erika Rosso nel girone femminile (oro all’ucraina Chyzhevska e argento alla turkmena Bardieva); nella medesima specialità 5° posto di Matteo Bernini e 12° di Paolo Faleo, a dimostrazione di una schiacciante superiorità tecnica. Nella specialità della Dama Internazionale a cento caselle semilampo a squadre (Rapid Draughts) l’Italia (Loris Milanese, Daniele Macali, Walter Moscato) conquista un buon 7° posto (oro Russia, argento Olanda, bronzo Camerun), migliorandosi nel lampo a squadre (Blitz Draughts) ottenendo il 6° posto (oro Russia, argento Lituania, bronzo Olanda). Nel torneo blitz 20° posto per Milanese, 39° per Moscato e 48° per Macali (oro e argento ai russi Schwarzman e Getmanski, bronzo all‘olandese Boomstra). Nel torneo rapid 41° posto per Milanese, 44° per Macali e 62° per Macali (oro all‘olandese Boomstra, argento e bronzo ai russi Chizhov e Shalbakov). La World Cup di Dama Internazionale a tempo standard viene vinta dal russo Chizhov, seguito dal connazionale Schwartzman e dall’olandese Boomstra nel girone maschile, e dalla bielorussa Fedarovich, seguita dall’olandese Hoekman e dalla polacca Sadowska nel girone femminile. Nelle specialità minori dominano la solita Russia, l‘Ucraina e l‘Olanda.
  • Scacchi: Al Grand Palais de Lille, sede dell’evento, sono andati in scena tornei dimostrativi e simultanee con alcuni grandi maestri internazionali. L’appuntamento è rinviato a Istanbul (Turchia), dove dal 27 agosto al 10 settembre 2012 si disputeranno le “Olimpiadi degli Scacchi”, che vedranno protagonisti i migliori scacchisti mondiali. La Federazione Scacchistica Italiana (FSI) schiera la squadra maschile composta da Fabiano Caruana (campione italiano e attuale numero 8 del ranking mondiale), Sabino Brunello, Daniele Vocaturo, Michele Godena, Daniyyl Dvirnyy (capitano non giocatore Giulio Borgo, coach Arthur Kogan) e la squadra femminile formata da Elena Sedina, Olga Zimina, Marina Brunello, Mariagrazia De Rosa, Tiziana Barbiso (capitano non giocatore Lexy Ortega, coach Fabio Bruno). I campioni in carica da battere sono l‘Ucraina di Ivanchuk e la Russia di Kramnik.
  • Bridge: La sfortunatissima squadra italiana Open (Duboin, Madala, Zaleski, Bocchi, Sementa, Versace, capitano non giocatore Lavazza, coach Ortensi), vincitrice dell‘edizione del 2008, deve cedere il passo alla Polonia ai quarti per un misero punto (172-171), in un torneo che vedrà trionfare la Svezia (oro), seguita dalla Polonia (argento) e dall’outsider Monaco (bronzo) del tandem “Fantoni/Nunes”, coppia italiana numero uno al mondo, recentemente transitata dalla Federazione Italiana Giuoco Bridge (FIGB) ai colori del Principato. Nella sezione Women la squadra italiana (Vanuzzi, Ferlazzo, Manara, Olivieri, Rosetta, Golin, capitano non giocatore e coach De Falco) esce di scena agli ottavi contro l’Olanda (184-129), per la vittoria finale dell’Inghilterra (oro), della Russia (argento) e della Polonia (bronzo). I Senior (Battistoni, Bertolucci, Bettinetti, Ferrara, Massaroli, capitano Marino), protagonisti di una buona prestazione, vengono eliminati ai quarti dalla forte Francia (211-141); alla fine sarà oro per l’Ungheria, argento per gli Stati Uniti e bronzo per la Francia. Un pezzo di Italia finirà comunque sul podio, poiché nel torneo Transnational la brava Gabriella Olivieri della squadra Milner vincerà l’oro.
  • Go: Rappresentanti della Federazione Italiana Giuoco Go (FIGG) sono stati Emanuele Aliberti, Davide Bertok, Leonardo Dal Zovo, Anna Marconi, Vincenzo Sabato e Cesare Sassoli. Gli italiani hanno disputato i diversi tornei nelle categorie maschile, femminile, squadre e coppie miste, ad eccezione della categoria juniores. Taiwan ha dominato la manifestazione, aggiudicandosi ben 11 medaglie sulle 15 a disposizione. Nei tornei maschile e juniores podio interamente taiwanese con Yu-Cheng (oro), Nai-Fu (argento), Sheng-Chieh (bronzo) per gli uomini e Nai-Fu (oro), Cheng-Wei (argento), Hao-Hung (bronzo) per gli juniores. Nel torneo femminile si impone la taiwanese Hsiao-Tung (oro), seguita dalla giapponese Osawa (argento) e dalla canadese Yu (bronzo). Nel torneo a squadre oro e argento per Taiwan 1 e Taiwan 2, bronzo per Singapore. Il torneo coppie miste viene vinto dalla coppia giapponese Osawa/Nakasone (oro) seguiti dai soliti taiwanesi Lin/Hung e Lu/Lai (argento e bronzo). Gli azzurri non hanno raggiunto le vette della classifica ma si sono comunque ben comportati, in una disciplina ancora poco conosciuta in Italia: nel torneo maschile 63° Sabato, 73° Sassoli, 74° Dal Zovo, 75° Bertok, 78° Aliberti; nel torneo femminile 36° posto di Marconi; nel torneo a squadre 16° posto nel gruppo A per Italia 2 e 14° posto per Italia 1 nel gruppo B; nel coppie miste 10° posto per Marconi/Bertok nel gruppo B.

Appuntamento al 2016 in Brasile, per la terza edizione della manifestazione.

– da AetnaNet del 27 Agosto 2012
– da Sotto Le 2 Torri – Il Foglio di Bologna n° 35 – Agosto 2012 – Pagine 25-26

Non Chiamateli Giochi: i Mancala

081a5-mancalaCon Màncala si indica tutta quella famiglia di giochi di fossi e ciottoli, semina e raccolta, nei quali vengono distribuiti dei semi in un certo numero di buche. Il termine deriva dall’arabo naqala (muovere/spostare qualcosa dal suo posto) e rientrano a pieno titolo nel vasto campo dell’archeologia ludica, universalmente ammessi nel novero dei giochi più antichi dell’umanità. Nati in Africa, l’origine risale probabilmente all’Antico Egitto; pur non potendo stabilire con certezza la datazione, sono state ritrovate nel tempio di Kurna, sulla riva occidentale del Nilo, una serie di buche scavate nelle pietre di un tempio risalente al 1400 a.C. I più antichi ed inequivocabili mancala, risalenti al VI-VII secolo d.C., sono invece stati ritrovati in Etiopia durante degli importanti scavi archeologici.
Dall’Africa il gioco si è progressivamente diffuso in tutto il mondo: verso Oriente, attraverso le rotte dei mercanti lungo le coste dell’Oceano Indiano e i flussi migratori conseguenti alla diffusione della cultura musulmana di origine nordafricana, ed in Occidente, tramite il commercio e la tratta degli schiavi nelle Americhe.
Dei Mancala esistono innumerevoli versioni, spesso differenti solo per minuzie o per particolari regole adottate localmente, ed è conosciuto con tantissimi nomi diversi, a seconda dell’area geografica di riferimento. Caratteristica comune dei mancala è il tavoliere di gioco, con una serie di buche (variabili numericamente da sei a dieci) disposte su un certo numero di file di egual lunghezza (normalmente da due a quattro). Dentro le buche (dette anche case) vengono collocati ad inizio partita la medesima quantità di semi, anch’essi variabili numericamente, solitamente semi di caesalpinia, ciottoli, conchiglie o fagioli. Alle estremità del tavoliere possono essere presenti due buche più grandi, dette granai, la cui funzione è differente in base alla tipologia di mancala: mero deposito dei semi catturati o vera e propria casa aggiuntiva con finalità speciali.
Scopo del gioco è catturare più semi dell’avversario. Ciascun giocatore provvederà ad effettuare una semina, prelevando tutti i semi presenti in una propria buca per poi distribuirli nelle case adiacenti, sia proprie che avversarie, descrivendo un caratteristico movimento circolare orario o antiorario. A seconda della variante di gioco, può compiere delle catture quando: l’ultimo seme termina in una casa avversaria comportando la cattura dei pezzi presenti in quella casa; una semina si concluda in una casa vuota con la conseguente presa dei semi della casa avversaria antistante; a seguito della semina si determini un dato numero di semi nelle case avversarie. In alcuni mancala i pezzi catturati vengono eliminati dal gioco, in altri posti nelle buche del giocatore che ha effettuato la cattura.
Strumento simbolico con forti connotati culturali, religiosi e magici, studiato con interessi antropologici ma anche logici e matematici, sono stati riconosciuti come il miglior esempio di gioco raffinato ancora presente in “culture primitive”, rivelando profondità di strategia e sottigliezze di calcolo non inferiori a quelli degli scacchi o di altri giochi occidentali ed orientali, tanto più notevoli in quanto i giocatori di mancala sono stati o sono ancora in molte situazioni privi di cultura alfabetica e numerica. Così come accade con i nostri sport, giochi e videogames, i mancala offrono momenti di aggregazione e di reciproco scambio d’esperienze, nonché interessanti spunti pedagogici e didattici, tanto da divenire per i bambini un ottimo espediente per l’apprendimento dell’aritmetica.
Il Wari è la variante più diffusa al mondo. Semplice ed immediato è praticato in gran parte dell’Africa e dei Caraibi. Conosciuto con diversi nomi, quali Owari, Oware, Awele, Warri, si gioca su un tavoliere composto da due file di sei case più i due granai, utilizzando 48 semi suddivisi in numero di 4 per casa. Il gioco prevede una mossa per turno con una semina antioraria. Obiettivo finale è catturare più semi dell’avversario. Ha due sottovarianti minori: l’Oware Grand Slam e il Cross-Wari.
Il Bao è probabilmente il mancala più complesso, caratterizzato da regole articolate e da una maggiore profondità strategica. Tipico della cultura swahili (bao significa ‘tavoliere’), è diffuso in Africa orientale (Tanzania, Kenya, Zanzibar, Comore). Si gioca su un tavoliere formato da quattro file di otto buche. Ogni giocatore dispone di 32 semi ed utilizza esclusivamente le due file di buche più vicine a sé, effettuando turni di semina singoli o a staffetta, con o senza cattura. Vince il giocatore che per primo svuota la fila interna dell’avversario o che porta l’avversario a non avere più alcuna mossa legale a disposizione.
L’Omweso è un mancala giocato in Uganda e Ruanda, con numerose sottovarianti diffuse nelle regioni limitrofe. Tipo di tavoliere e numero dei semi sono identici a quello del bao, le regole tuttavia sono più immediate. L’obiettivo è spingere l’avversario a non avere più mosse a disposizione.
Il Congkak è diffuso in Indonesia, Malesia, Filippine, Thailandia, Singapore, Sri Lanka e alle Maldive. Raffigurato sulle monete da 10 cents del ringgit malese, è l’unico gioco al mondo riprodotto su un conio ufficiale. Variante dalla dinamica elaborata, utilizza un tavoliere costituito da due file di cinque, sei o sette buche, più i due granai. Ogni giocatore impiega i propri semi (sette per buca) attraverso due distinte fasi di gioco. Il gioco ha fine quando si va al di sotto di una soglia minima di semi in proprio possesso.
Il Bohnenspiel (letteralmente ‘gioco dei fagioli’) è l’unico mancala tipicamente europeo, giocato sin dall’Ottocento nei paesi baltici e tedeschi, in particolare dall’aristocrazia prussiana e russa, diffuso ancora oggi nell’Europa orientale. L’equipaggiamento è lo stesso del wari come pure la meccanica di gioco, eccezion fatta per la disposizione iniziale dei semi (sei per buca) e alcune regole di cattura.
Esistono anche mancala moderni, come il Kalah. Inventato nel 1940 da William Julius Champion Jr., è conosciuto anche come Bantumi ed ha avuto un considerevole successo commerciale negli Stati Uniti ed in Germania. Il tavoliere è identico a quello del wari ma i semi a disposizione sono 36 (tre per casa), inoltre sono diverse sia le regole di cattura che la funzione del granaio, essendo anch’esso attraversato dalla semina. Nel 2004 è stata inventata un’ulteriore variante, il Cross-Kalah, con l’obiettivo di ridurre il vantaggio del giocatore primo di mano, nell’intento di rendere il gioco più equilibrato.
Varianti minori ma altrettanto diffuse sono l’Ayoayo (Nigeria), l’Endodoi (Kenya/Tanzania), il Layli Goobalay (Somaliland), il Tschuba (Sudafrica), l’Hawalis (Oman), l’Hoyito (Repubblica Dominicana) e tanti altri, a testimonianza di una storia e cultura millenaria.

– da AetnaNet del 31 Luglio 2012
– da Sotto Le 2 Torri – Il Foglio di Bologna n° 34 – Luglio 2012 – Pagine 9-10

Non Chiamateli Giochi: il Bridge

55211-bridgeÈ possibile praticare uno sport, pur rimanendo comodamente seduti? La risposta è sì! Ciò che occorre è un mazzo di carte e imparare a giocare a Bridge. Parlare di un gioco di carte come di uno sport potrebbe di primo acchito sembrare un’esagerazione, ma così non è per il bridge che, insieme ad altre discipline, ha vista riconosciuta da parte del Comitato Olimpico ed altri organi internazionali la definizione di sport ed è stato inserito nei “World Mind Sports Games”, le Olimpiadi degli Sport della Mente.
In Italia, al pari della dama e degli scacchi, il bridge è una disciplina sportiva associata al CONI ed ha da tempo sottoscritto col Ministero della Pubblica Istruzione un protocollo d’intesa che ufficializza la promozione del progetto “Bridge a Scuola”, consentendone l’attività scolastica a partire già dalla scuola primaria, attraverso la pratica del Minibridge.
Gioco di coppia per antonomasia, il bridge non è un semplice gioco di carte (come dire che il calcio, il basket o il tennis sono giochi con la palla) ma è un gioco “con le carte” che sviluppa valori come la socializzazione, l’aggregazione, l’amicizia, la solidarietà, la collaborazione e capacità di analisi e di sintesi, di deduzione logica e razionalità, abilità e competenze indispensabili per migliorare le capacità di pensiero e le life skills.
Il gioco del bridge vanta radici antichissime. Del suo progenitore diretto, il “Whist”, si hanno tracce in Inghilterra sin dal XVI secolo, dov’era praticato tra il popolo. Il gioco cominciò ad appassionare anche l’aristocrazia ed ebbe un costante, progressivo sviluppo, tanto da esser codificato in regole precise nel 1742 da sir Edmond Hoyle, che ebbe il merito d’inquadrare un buon gioco di carte concependolo come veicolo sociale con profondi significati morali, ragione nella quale risiede ancora oggi il principale successo del bridge. Nel 1873 nasce il “Whistbridge”, praticato, come il bridge moderno, da quattro giocatori in due coppie contrapposte. Contemporaneamente si diffonde in Medio Oriente il “Birich”, un analogo gioco di origini russe. Da qui la disputa, ancora oggi irrisolta, sull’esatta etimologia del termine “bridge”: per alcuni deriverebbe dall’instaurarsi di un “ponte” comunicativo tra la coppia di compagni, per altri semplicemente dal termine birich.
Il gioco viene gradualmente modificato negli anni successivi, diffondendosi largamente in Francia e negli Stati Uniti, sino a quando nel 1925, l’americano Harold Stirling Vanderbilt non lo codifica nel moderno “Contract Bridge”, le cui regole sono tuttora in vigore. Di lì a poco verrà fondata nel 1932 a Scheweningen (Olanda) l’International Bridge League, col compito di organizzare il primo Campionato Mondiale a squadre.
Il bridge è anzitutto un gioco di prese che vede contrapposte due coppie, dette “linee”. Si gioca con un mazzo di 52 carte, di tipo francese, esclusi i jolly. Il mazzo è composto da quattro semi (Picche, Cuori, Quadri, Fiori) di 13 carte ciascuno. Il valore è decrescente, dall’Asso al 2. Il mazziere, a rotazione, distribuisce tutte le 52 carte, in senso orario, così che al termine ogni giocatore avrà una “mano” di 13 carte. La presa è costituita dalle quattro carte giocate a turno dai giocatori ed è vinta da chi ha giocato la carta più alta. Ciascun giocatore ha l’obbligo di rispondere nel colore giocato dal primo di mano, se non possiede alcuna carta in quel colore, potrà giocare una carta di un altro colore, effettuando uno “scarto”. Il gioco si articola su due distinte fasi, la “licitazione” (o dichiarazione) e il “gioco della carta”. Scopo del gioco determinare, attraverso la licitazione, il numero di prese (contratto) che si intendono realizzare in seguito ed ogni dichiarazione dovrà superare la precedente o per rango o per numero di prese. Durante la dichiarazione la coppia può scegliere un colore dominante (la briscola o atout), e decidere di giocare un contratto ad atout o a senza atout. Il dialogo avrà termine quando su una licita di un giocatore gli altri tre passeranno, non effettuando alcuna licita ulteriore. La dichiarazione finale costituirà il contratto che dovrà essere mantenuto dalla coppia nella successiva fase di gioco della carta.
È evidente come il gioco del bridge unisca valenze proprie sia dello sport sia dell’attività intellettiva: per apprenderlo non occorre studio, ma comprensione. Il bridge è una disciplina per tutte le età, affascinante, logica e appassionante, adatta sia ai giovani sia a chi è avanti con gli anni. Tutte le componenti del gioco, sia teoriche che pratiche, hanno una naturale matrice logica, matematica e statistica. Ciò obbliga il giocatore alla concentrazione e al ragionamento, impegnandolo ad affrontare situazioni di problem solving pressoché costanti; il bridge è un ottimo strumento per allenare la memoria e l’intelligenza, proponendo nello spazio di una smazzata una serie di condizioni la cui risoluzione necessita dell’utilizzo della memoria a breve e a lungo termine e dell’intelligenza fluida e cristallizzata. L’attenzione e l’interesse sono continuamente stimolati per via della diversa configurazione delle carte, che cambia dopo pochi minuti, modificando così il tipo di impegno richiesto.

– da AetnaNet del 6 Luglio 2012
– da Sotto Le 2 Torri – Il Foglio di Bologna n° 33 – Giugno 2012 – Pagina 17

Laboratorio Sperimentale Ludico

b88ec-sperimentale-ludicoLa Scuola Primaria “Don Milani” di Poggio Grande, facente parte della Direzione Didattica di Castel San Pietro Terme (BO), ha dato vita nel corso dell’anno scolastico 2011/2012 ad un piccolo laboratorio ludico, nel quale si sono sperimentate brevi, divertenti e diversificate attività, con significative ricadute didattiche nelle discipline scolastiche.

Il progetto, denominato “Oltre le Parole e i Numeri”, svoltosi dal 23 gennaio al 4 giugno 2012, ha accompagnato in orario curricolare pomeridiano, per ben 16 incontri di un’ora ciascuno, 4 alunni di Terza, ai quali si sono aggiunti a rotazione i restanti compagni, coordinati dal docente di classe ed esperto di giochi Christian Citraro. L’esigenza del piccolo gruppo nasce sia dagli specifici bisogni didattico-educativi della classe che dalla necessità di sperimentare in un contesto contenuto l’ampio ventaglio di proposte ed esperienze ludiche generate dall’esperto, in un’ottica di ricerca-azione che tenga conto delle tappe evolutive del bambino e delle sue naturali inclinazioni ed interessi, nella chiara prospettiva di uno sviluppo futuro in gruppi più ampi di alunni e/o classi verso attività ludiche mirate.
L’esperienza si è dimostrata un ottimo banco di prova in vista degli anni a venire, con feedback positivi da parte di tutti i partecipanti e con l’ambizione di proporre la prassi e la cultura ludica come nuovo centro d’interesse scolastico.

Italiano e Matematica le discipline coinvolte. Tenuto conto della multidisciplinarietà dell’intervento, i principali obiettivi didattici del laboratorio sono stati:

  • Educare all’ascolto.
  • Migliorare le capacità di attenzione/concentrazione.
  • Favorire i processi logici.
  • Accrescere le potenzialità espressive e comunicative.
  • Perfezionare le capacità esecutive, nell’ambito di messaggi e contesti specifici.

I contenuti linguistici, geometrici e matematici sono stati rispettivamente rivolti ad aspetti di comprensione e riflessione linguistica, calcolo e logica razionale.
Ciascun percorso ha avuto al suo interno una parte propedeutica ed una parte propriamente ludica, fatta di giochi linguistici e astratti.

Il percorso linguistico è iniziato proponendo agli allievi la conoscenza, creazione e risoluzione di semplici Cruciverba, la lettura ed il commento scherzoso di noti Scioglilingua, la conoscenza e risoluzione di semplici e curiosi Anagrammi. In seguito si è dato spazio ai giochi linguistici “Paroliamo” e “Scrabble”.

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Da sx: il Paroliamo, lo Scrabble

l percorso logico-matematico è incominciato, parallelamente a quello linguistico, con la conoscenza, creazione e risoluzione di semplici Crucinumeri, per poi passare ai giochi logici Torre di Hanoi ed ai classici Sudoku per bambini. Largo spazio nei successivi incontri ai giochi astratti “Wari”, “Go” (nella versione semplificata dell’Atari-Go) e “Blokus”.

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Da sx: il Wari, il Go, il Blokus

A fine percorso tutti gli allievi hanno manifestato la voglia di ripetere l’esperienza, rivelando le proprie preferenze e desiderata (fatte di proposte reali ma anche fantascientifiche!!!) per i successivi anni di scuola primaria.

Non rimane che accontentarli… 😉

*** Post consultabile anche sul Blog Progetto Homo Ludens

S-cakes

[di Avv. Giovanni R. Patti, da “In Aevum”, Rivista dell’Istituto San Michele di Acireale, N° 22, Maggio 2012, pag. 8]

41446-stemma4Ritenete che la prima cosa a cui si pensi quando si riceve in regalo una scatola di cioccolatini sia quella di cominciare a mangiarli? Naturalmente (e questo soprattutto quando i cioccolatini siano della Antica Cioccolateria Acese, una ditta siciliana –di Aci S. Antonio (CT)- che proprio sui sapori siciliani fa leva per proporre prodotti dai gusti originali).

Talvolta però può aversi una qualche deformazione mentale, e il ‘mangiarli’ a cui si pensa sia l’esito di una mossa di gioco da scacchiera.

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La scatola dei “giocolatini”

È questa la prima impressione che si è avuta al ricevere in regalo una confezione di 18 cioccolatini assortiti proprio della Antica Cioccolateria Acese, equamente divisi in nove al gusto di cioccolato fondente e in nove al latte, in una scatola quadrata che già da sé ricorda immediatamente un gioco da tavolo.

Il gioco da scacchiera che ha sollecitato l’impressione (e questo è ancor più strano) non esiste, ma è stato inventato al momento, proprio guardando la confezione di questi dolci (cakes): gli S-cakes.

Il nome è stato così ideato perché possiamo vagamente considerare il gioco una variante degli scacchi, dato che richiede una scacchiera di 5 x 5 caselle, e i cui pezzi sono proprio i cioccolatini che assumono il ruolo che nella quasi totalità è quello dei noti pezzi degli scacchi.

Essi si possono così elencare (nella foto dal basso in alto e da destra a sinistra, in uno con il gusto del cioccolatino corrispondente): in prima fila, R – due Re (Gianduia dell’Etna); A – due Alfieri (Zagara); in seconda fila, alle estremità, T – due Torri (Fichi); al centro, due p – pedoni (Nocciola); in terza fila, alle estremità, Rg – due Regine (Pistacchio di Bronte) e altri quattro pedoni (quelli più vicino alla Regina a sinistra al gusto di Mandarino, gli altri due al gusto di Mandorla di Sicilia); in quarta fila, alle estremità, C – due Cavalli (al gusto di Malvasia delle Lipari); al centro Rs – due Riservisti (al gusto di Arancia).

Come si sarà notato esiste un pezzo identico sia per il cioccolato fondente che per quello al latte: il che permette di formare due schieramenti con un numero uguale di pezzi, come i bianchi e i neri degli scacchi.

I due schieramenti si dispongono nella scacchiera secondo il seguente ordine:

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La disposizione dei “pezzi”

I pezzi muovono come nel gioco degli scacchi (Torre: verticalmente o orizzontalmente; Alfiere: diagonalmente; Regina: verticalmente o orizzontalmente o diagonalmente; Re: come la Regina, ma di una sola casella per volta; Cavallo: con una mossa a L, e cioè –anche scavalcando altre pedine- una casella verticale e due orizzontali; due verticali e una orizzontale; una orizzontale e due verticali; due orizzontali e una verticale).

Rispetto agli scacchi i pedoni muovono come la Torre, ma di una casella per volta, ed eliminano il pezzo più vicino in diagonale alla propria casella.

L’eliminazione anche per tutti gli altri pezzi avviene prendendo il posto nella casella del pezzo ‘mangiato’.
Il Riservista è una pedina che non esiste negli scacchi. Nel nostro gioco sostituisce a scelta del giocatore o una Torre, o un Alfiere o un Cavallo già eliminato (e il cioccolatino-pezzo prescelto si porrà sulla base rotonda del cioccolatino del Riservista). In altre parole, è un modo per recuperare al gioco un altro pezzo con le stesse funzioni di uno eliminato, attingendo alla ‘riserva’ dell’esercito –da qui il nome- (e per questo Re e Regina non possono essere sostituiti). Il Riservista “prende posto” nello scacchiere (e cioè viene collocato in una casella a piacimento) al posto di una mossa.

Alla fine, come negli scacchi, vince chi dà scacco matto al Re, costringendolo comunque a muovere in una casella in cui sarà eliminato.

Importante: In assenza dei ‘giocolatini’ si possono utilizzare i pezzi degli scacchi e due pedine della dama (quest’ultime per il ruolo del riservista).

***

In conclusione è d’uopo un’avvertenza. Questo gioco ha una sola controindicazione: che i pezzi finiscono per essere mangiati veramente e –alla fine- è già un’impresa riuscire a giocare qualche partita o poco più senza che si stia già cominciando a digerirli.

GIOVANNI R. PATTI

[Si ringrazia Christian Citraro –appassionato di giochi da tavolo- il cui gentile pensiero della scatola di cioccolatini ha suscitato in chi scrive il sottile pensiero del gioco.]

Non Chiamateli Giochi: gli Scacchi Eterodossi

b0c91-eteroscacchiPer “Scacchi Eterodossi” si intendono tutte quelle varianti di gioco basate sugli scacchi ma alle quali sono state apportate un numero più o meno rilevante di cambiamenti, relativamente ad obiettivi, posizionamento, movimento e cattura, tipologie di scacchiere e pezzi.
Sin dalla loro nascita gli scacchi sono sempre stati in continua evoluzione, tant’è che le attuali norme internazionali del 1924, che codificano i cosiddetti “Scacchi Ortodossi”, universalmente riconosciuti, rappresentano soltanto l’ultimo e decisivo passo nella storia millenaria del gioco; esiste infatti un grande assortimento di varianti a base scacchistica, stimabile in più di 2000, che utilizza il consueto materiale ma con regole differenti.
Conoscere le varianti scacchistiche significa esplorare un variegato universo ludico che può senz’altro arricchire la passione e l’esperienza di principianti ed esperti, siano essi giovani allievi di scacchi a scuola o anziani praticanti nei circoli scacchistici.
Di seguito vengono elencate alcune tra le principali varianti, diffuse e praticate a diversi livelli di conoscenza e/o di gioco:

  • Gli “Scacchi 960” o Fischer Random Chess (Scacchi Casuali di Fischer) furono inventati nel 1996 dall’indimenticato campione del mondo di scacchi (1972-1975) Bobby Fischer. Nelle intenzioni di Fischer vi era l’intento di rinnovare un gioco millenario, con la ferma convinzione di favorire la creatività e il talento dello scacchista, sacrificati, negli scacchi ipermoderni e computerizzati di oggi, allo studio mnemonico delle aperture. Negli Scacchi 960 i pezzi e lo scopo del gioco sono gli stessi degli scacchi. I pedoni vengono collocati nella seconda traversa, mentre i pezzi della prima traversa possono esser posizionati in modo casuale, per accordo o sorteggio, rispettando taluni vincoli. In questo modo le posizioni legali diventano 960, da qui appunto il nome.
  • Gli “Scacchi Vinciperdi”, nati nel secondo dopoguerra, furono introdotti in Italia all’inizio degli anni Settanta, e sono ancora oggi una delle varianti più divertenti e diffuse, presentandosi come una sorta di scacchi a perdere. Scopo del gioco è costringere l’avversario, attraverso la presa, che qui diviene obbligatoria, a catturare tutti i propri pezzi e pedoni, compreso il Re, che diventa un pezzo senza particolari prerogative. Il giocatore che riesce per primo in questo intento, vince la partita.
  • Gli “Scacchi Marsigliesi” iniziano con la mossa del bianco e si prosegue con successive due mosse consecutive (una bi-mossa) ad ogni turno per entrambi i contendenti.
  • Gli “Scacchi Progressivi” cominciano con la prima mossa del bianco per poi proseguire con due mosse simultanee del nero, tre del bianco e via dicendo, sino allo scacco matto finale o alla patta.
  • La “Quadriglia” (o Bughouse) si gioca in quattro, suddivisi in due squadre, su due scacchiere separate. Particolarità di questa variante la possibilità che i pezzi catturati da un giocatore vengano trasferiti sulla scacchiera dove gioca il compagno col colore opposto, che può a sua volta inserirli alla prima occasione in una casa libera. Derivante dalla Quadriglia, la variante “Crazyhouse” si gioca su una scacchiera, differendo dalla prima per il fatto che ogni pezzo catturato all’avversario può esser tramutato in un pezzo del proprio colore.
  • Gli “Scacchi Alice”, ispirati alla celebre eroina di Carroll de Attraverso lo specchio, si giocano con un solo set di pezzi ma su due scacchiere. Ad inizio partita tutti i pezzi sono disposti sulla prima scacchiera ma ogni qualvolta si effettua una mossa sulla scacchiera in cui il pezzo si trova non appena completato il movimento viene trasferito sull’altra, una mossa è quindi impossibile se sull’altra scacchiera la casa in cui il pezzo si deve recare è occupata.
  • La variante “Atomic” mira ad una strategia kamikaze, volta a far esplodere il re avversario, poiché a seguito di una qualsiasi cattura vengono eliminati dalla scacchiera sia il pezzo catturante che tutti i pezzi avversari (ad eccezione dei pedoni) trovatisi nel quadrato formato dalle case adiacenti.
  • Gli “Scacchi di Dunsany” vedono un’orda di 32 pedoni bianchi contro il normale schieramento del nero. Obiettivo dei bianchi lo scacco matto contrapposto alla totale eliminazione di quest’ultimi da parte del nero.
  • Gli “Scacchi Esagonali” si giocano su scacchiere esagonali. Le principali varianti sono, dal nome dei loro inventori, la “Gliński”, la “McCooey” e la “Shafran”. Il movimento e la cattura dei pezzi si rifà a quello originale, adattandolo al nuovo contesto.
  • Gli “Scacchi Tridimensionali” utilizzano scacchiere a tre dimensioni sul modello degli scacchi 3D illustrati nella celebre saga di Star Trek.

Discorso a parte meriterebbero le varianti antiche del Chaturanga (India) e dello Shatranj (Persia), antenati degli scacchi moderni, le odierne varianti orientali dello Xiangqi (Cina) e dello Shogi (Giappone) e il recentissimo Shuuro, un ibrido tra scacchi e wargames tridimensionali, per i quali si dà appuntamento ad una nuova puntata.

– da AetnaNet del 9 Giugno 2012
– da Sotto Le 2 Torri – Il Foglio di Bologna n° 32 – Maggio 2012 – Pagina 10

Non Chiamateli Giochi: il Go

c82fc-go-boardAffascinante e dalle nobili origini, “Go” è il nome giapponese di un gioco da tavolo strategico per due giocatori, noto in Cina col nome di Weiqi (letteralmente gioco del circondare), ed in Corea come Baduk. Conosciuto dai più come gli “Scacchi d’Oriente”, sembrerebbe essere nato in Cina circa 4000 anni fa. Inizialmente collegato ad antiche pratiche divinatorie, si diffonde successivamente fra la classe dei letterati come gioco di strategia e raffinata metafora dell’equilibrio delle forze naturali. Annoverato tra la quattro arti dello junzi (il gentiluomo cinese), assieme alla calligrafia, alla pittura ed a suonare lo guqin, il go, come molti altri aspetti della vita politica e sociale, costituiva un esercizio, una parte del tutto, volto a migliorare la propria posizione mentale in relazione al mondo esterno: vuole difatti la leggenda che l’imperatore cinese Yao (2337–2258 a.C.) lo fece inventare dal suo consigliere Shun allo scopo di insegnare a suo figlio la disciplina, la concentrazione e l’equilibrio.
Oggigiorno il go è diffuso nell’intero Oriente e praticato da persone di tutte le età, con fini didattici nelle scuole, di ricerca nel campo dell’intelligenza artificiale nelle università o agonistici nei numerosi circoli, includendo una folta schiera di giocatori professionisti.
Caratterizzato da regole molto semplici, il go dà origine ad una strategia sorprendentemente complessa. Il piano di gioco (detto goban) è un reticolo di 19 righe orizzontali e 19 righe verticali, che si intersecano in 361 incroci, ma è frequente l’uso, per fini principalmente didattici, di goban ridotti con 13×13 o 9×9 intersezioni. I due giocatori depongono a turno le loro pietre (goishi), custodite in appositi contenitori (goke), su un qualsiasi incrocio libero, senza più rimuoverle una volta collocate, cercando allo stesso tempo di connetterle tra loro, al fine di dar forma ai rispettivi territori in cui alla fine sarà diviso il goban. Vincitore non sarà chi ha annientato l’avversario, come spesso accade in altri giochi, bensì chi sarà riuscito a formare territori più ampi, attraverso una meccanica di gioco che premia l’equilibrio. Nonostante la staticità delle pietre, il go è un gioco molto dinamico, molto simile ad una guerra: si parte con il consolidamento delle basi per poi espandersi, ci sono battaglie, accerchiamenti e catture, scambi di territorio, invasioni e ritirate, astuzie tattiche e decisioni strategiche, fino al consolidamento finale dei territori.
Il go è fondamentalmente una simulazione di scenari economici. Potrebbe essere paragonato, per analogia col mondo degli affari e rifacendosi al “Ciclo di Deming”, ad un piano a lungo termine che sfrutta a fondo il controllo di qualità, volto al miglioramento continuo dei processi e all’utilizzo ottimale delle risorse. Al contrario, la dama e gli scacchi cercano il profitto nel breve termine, focalizzando le energie su pochi e mirati aspetti. Ciò che contraddistingue infatti il go dai giochi occidentali della dama e degli scacchi è il frequente uso del pensiero strategico rispetto a quello tattico. Quando si gioca a go, è necessario usare nello stesso tempo facoltà intuitive ed analitiche, di contro la dama e gli scacchi sono analitici dall’inizio fino alla fine ed ogni mossa viene compiuta in seguito ad una analisi. Nel go il puntare o selezionare un solo aspetto in modo esaustivo non porta beneficio anzi è estremamente pericoloso, poiché “nulla ha senso se non nel contesto”. Il successo deriva da una serie di gradi, l’obiettivo, pertanto, non è tanto quello di sconfiggere l’avversario, quanto di massimizzare vantaggi e svantaggi.
Ritroviamo in quanto affermato la storica dicotomia tra Oriente ed Occidente, il loro differente approccio alla filosofia, alla politica, all’economia, all’uomo ed al senso della vita, in linea con il modo di pensare e agire occidentale “per principio”, dando importanza alle ideologie, all’assoluto, al bianco o nero, rispetto alla maniera orientale, che pensa ed agisce “per circostanza”. Le pedine, i pedoni e pezzi della dama e degli scacchi come mezzi per raggiungere il fine, la pietra del go, nell’alternarsi di yin e yang, come parte del tutto.
La pratica del go permette quindi a comuni studenti o semplici giocatori di stimolare ed esercitare l’uso di entrambi gli emisferi cerebrali, l’uno logico-razionale (cioè sequenziale, analitico, deduttivo) e l’altro intuitivo-olistico (cioè sintetico, globalizzante, induttivo), sviluppando le naturali abilità logiche e creative.

– da AetnaNet del 30 Aprile 2012
– da Sotto Le 2 Torri – Il Foglio di Bologna n° 31 – Aprile 2012 – Pagina 18

Non Chiamateli Giochi: gli Scacchi

Tra i giochi tradizionali degni d’attenzione un posto d’onore lo meritano senz’altro gli Scacchi. Strettamente collegati alle diverse discipline scolastiche si sono facilmente inseriti, in tandem con la Dama, nell’iter formativo quali “sport a scuola”, offrendo a molti studenti occasioni di crescita umana e civile e di uso intelligente del tempo libero. È pressoché riconosciuto che chi pratica queste discipline acquisisce, in generale, maggiore capacità di concentrazione e potenzia senza sforzo le caratteristiche elaborative del cervello con notevoli effetti benefici anche in altri campi, come l’organizzazione del proprio lavoro o l’apprendimento delle materie scolastiche.
In un mondo sempre più globalizzato e tecnologico ma diviso dalla prospettiva dello scontro di civiltà, la natura trascendente del gioco degli scacchi mette insieme Oriente ed Occidente. Protagonista di una lunga staffetta tra popoli, l’origine del gioco è tuttora oggetto di studi e di controversie. Molti storici concordano che fosse conosciuto in India nel VI secolo d.C., sotto il nome di Chaturanga (quattro parti di un tutto): la scacchiera era già 8×8 ma si giocava in quattro, talvolta con i dadi, e non tutti i pezzi muovevano come oggi. Successivamente il gioco passò in Persia assumendo il nome di Chatrang, Gli Arabi lo appresero dai Persiani nel periodo della loro espansione e lo chiamarono Shatranj (dal persiano Shah, gioco dei “Re”). Con le invasioni moresche dell’Europa insulare e della Penisola Iberica, gli scacchi approdarono in Occidente tra il IX e il X secolo, diffondendosi intorno al Mille in tutta l’Europa, dapprima nelle corti, poi con la nascita dei primi giocatori professionisti. I religiosi furono grandi propagatori del gioco, nonostante tra il XII e il XV secolo alcuni concili cercarono di ostacolarne la diffusione. Il gioco attraverserà così tutta l’Età Moderna sino a giungere al primo torneo internazionale, organizzato da Howard Staunton a Londra nel 1851, e vinto dal tedesco Adolf Anderssen. Di lì a poco verrà organizzato il primo campionato del mondo, vinto nel 1886 da Wilhelm Steinitz: è l’inizio degli scacchi moderni.
Gli scacchi si giocano su una tavola quadrata, detta scacchiera, divisa in 64 case organizzate in 8 righe, dette traverse, ed 8 colonne. Ciascun giocatore dispone di un insieme di 16 pezzi, composto da (in ordine teorico di importanza crescente): i Pedoni (8), i Cavalli (2), gli Alfieri (2), le Torri (2), la Donna (1), il Re (1). Ogni pezzo si muove secondo precise modalità. Nessun pezzo può occupare una casa in cui è presente un altro dello stesso schieramento, è invece permesso catturare qualsiasi pezzo avversario, ad esclusione del re, occupandone la casa. Scopo degli scacchi è dare “scacco matto”, manovra che consiste nell’intrappolamento del re avversario: non essendo consentita la cattura del proprio re, quando lo stesso è minacciato (ovvero è “sotto scacco”) deve essere effettuata una mossa che pari la minaccia, ossia impedisca all’avversario di catturarlo alla mossa successiva; se il giocatore non può sottrarre il re dall’attacco si tratta di scacco matto e la partita termina con la vittoria dell’avversario.
Gli scacchi possiedono, oltre al naturale aspetto di competizione intellettuale, una precisa connotazione simbolica, frequentemente usata come metafora della vicenda umana. Il gioco è impregnato di simboli e metafore che da sempre hanno ispirato artisti, pittori e letterati. La celebre partita del cavaliere Block contro la Morte, descritta magistralmente dal regista svedese Ingmar Bergman ne Il Settimo Sigillo, ha un esito immodificabile ma ciò che conta non è l’impossibile vittoria finale bensì il gioco in sé, poiché finché la partita procede il cavaliere è vivo. Per Bergman, il succo della dignità umana non sta nell’aspettare passivamente che gli eventi accadano ma nell’opporvisi fermamente, sia pure in una lotta impari. In ambito politico, la Rivoluzione Russa ed il conseguente interessamento del Regime Bolscevico fecero la fortuna degli scacchi tra la prima e la seconda guerra mondiale. La Guerra Fredda consolidò questa fortuna: l’intero mondo divenne una scacchiera su cui le due superpotenze giocavano le loro mosse.
Diversamente dalla politica, nel mondo scolastico giochi come la dama o gli scacchi permettono agli studenti di sperimentare nuove strategie di apprendimento, gettando le basi di quelle che saranno le strutture del pensiero logico-deduttivo. La damiera/scacchiera costituisce un eccellente campo per far affrontare ai ragazzi attività di risoluzione di problemi e di costruzione di piani d’azione, tradizionali temi di interesse della scienza cognitiva, oltreché potenziale strumento per il recupero di soggetti con difficoltà di apprendimento. L’acquisizione delle rispettive tecniche di gioco concorre infatti alla formazione globale dell’individuo, stimolando la logica, l’immaginazione, la memorizzazione, l’attenzione e il pensiero analitico, nonché la creatività e la consapevolezza del giusto rapporto causa-effetto.
In una società sempre più proiettata verso l’uso delle nuove tecnologie diventa indispensabile la presenza di quei giochi tradizionali che “servono” per crescere, la cui promozione nelle scuole assume una doppia valenza: didattico-educativa e ludico-sportiva, proponendosi come rinnovato centro d’interesse per i più giovani.

– da AetnaNet del 2 Aprile 2012
– da Sotto Le 2 Torri – Il Foglio di Bologna n° 30 – Marzo 2012 – Pagine 28-29